«Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”»
Sono le parole del grande scrittore americano David Foster Wallace, era il 2005 e si rivolgeva agli studenti di un prestigioso college.
Le prendiamo in prestito oggi, per descrivere il primo motore e una tra le principali finalità della psicoterapia.
Quando si avvia un percorso di psicoterapia, ci si muove in un campo a volte minato, a volte desolato, a volte fin troppo popolato: quello della consapevolezza di sé. Delle nostre valutazioni. Di quei pensieri duri, inflessibili, intransigenti, arcigni, a volte persino crudeli verso noi stessi, il passato, l’oggi.
Ecco l’acqua.
Quanto sappiamo, in effetti, di quello che proviamo, e del collegamento che esiste tra gli eventi e i nostri stati affettivi? E ancora, da dove arriva quell’attivazione emotiva? Quando e con chi l’abbiamo già sperimentata in passato? Cos’era successo? Perché tutto questo tumulto?
«Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare».
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